07 November 2020

Le cose che mi interessano sono quelle che rimarranno importanti tra un mese

anche se sono state attuali un mese fa e ora non fanno più notizia.

Se una notizia è stata data oggi, probabilmente non ne voglio ancora parlare. Se il mese prossimo sarà ancora importante, ecco che è una buona candidata ad avere la mia attenzione, anche se è un mese che i media non ne parlano, e forse a maggior ragione se non ne parla più nessuno!

La domanda di partenza è: quanto tempo vive una notizia di attualità? L’unità di misura non sono i giorni o le ore, ma è il “news cycle”. Secondo Wikipedia,

Un ciclo di notizie completo è costituito dai resoconti dei media su qualche evento, seguiti dai resoconti sulle reazioni, pubbliche o di altro tipo, ai resoconti precedenti.

Fino a qualche anno fa si parlava di “24-hour news cycle”, cioè cicli di notizie giornalieri: la copertura mediatica di un evento dura 24 ore, e se non si aggiungono nuovi elementi sostanziali dopo questo periodo di tempo la notizia diventa vecchia ed è sostituita con qualcos’altro.

Con l’avvento dei social network e più in generale con la (apparente?) democratizzazione delle fonti di informazione, contenuti generati dagli utenti e compagnia bella, la vita media di una notizia è sempre più breve, i cicli si succedono in modo sempre più rapido, e noi consumatori consumiamo sempre più notizie sempre più in fretta.

Come è facilmente intuibile, una conseguenza di questa velocizzazione dell’informazione è che quello che guadagni in velocità lo perdi in profondità: ovvero accediamo sì a più notizie e più in fretta, ma anche in modo molto più superficiale.

Ora, la teoria “classica” dice: i media tradizionali sono diventati così superficiali e imprecisi perché devono competere sia in quantità che in velocità con un mondo di contenuti prodotti in modo non professionale.

Succede qualcosa da qualche parte del mondo? Se sono tra i primissimi a darne notizia, quando dieci minuti dopo le persone vedranno un nuovo hashtag su Twitter e cercheranno la notizia su Google troveranno me, leggeranno il mio articolo e condivideranno la mia notizia su Facebook, facendo girare la mia pubblicità, che è la maggiore fonte dei miei introiti, con un effetto a cascata che è esponenziale. Se invece che metterci dieci minuti ce ne metto nove, otterrò il doppio di visite: ogni secondo mi vale letteralmente decine o centinaia o migliaia di euro.

Inoltre, a complicare le cose oltre al fattore economico bisogna considerare anche quello ideologico: se ho una agenda da promuovere, il fatto di essere il primo a commentare una notizia significa che ho la possibilità di far circolare la mia versione della storia, di diffondere la mia narrativa. Se voglio che il mio commento venga letto e possa influenzare l’opinione pubblica, non posso permettermi di aspettare neanche dieci minuti di troppo.

Sarebbe interessante scrivere un modello matematico di questo fenomeno, nei termini della teoria dei giochi, ma per capire l’idea non ce n’è bisogno: a prescindere da quale che sia la causa, o la colpa, il dato di fatto è che la qualità dell’informazione oggi è bassissima e ogni notizia tiene l’interesse pubblico per pochissimo tempo.

Anche con le migliori intenzioni, in questo breve tempo è molto difficile elaborare analisi profonde, per il semplice motivo che le analisi profonde richiedono tempo per riflettere, meditare, confrontarsi con altri, o anche solo dormirci sopra e riguardarle in una nuova luce.

Se poi ci aggiungiamo il fatto che tante testate non hanno affatto le migliori intenzioni, ma desiderano semplicemente promuovere la propria linea editoriale, il quadro emerge nel suo dramma: scrivere un articolo ideologico prendendo spunto da un fatto di cronaca è molto più facile di scrivere un articolo realistico sullo stesso fatto. Se so già dove voglio andare a parare, la realtà può essere un semplice pretesto per arrivarci. Se voglio che sia la realtà a suggerirmi dove andare, ho molto più lavoro da fare.

Repubblica, sì, sto parlando anche di te. Ma tranquilla, sei in pessima compagnia.

Comunque sia, come ho scritto spiegando perché questo blog non ha un titolo, ho un problema con l’eccesso di informazioni. La stragrande maggioranza delle informazioni con le quali vengo bombardato sono informazioni inutili. E visto che la mia attenzione e il mio tempo sono limitati, queste informazioni sono dannose, perché consumano le mie risorse a vuoto.

Come si distinguono le informazioni utili da quelle inutili? Si possono usare molti criteri diversi, ma in particolare vorrei sottolinearne uno, la durabilità.

Considerare la durabilità significa chiedersi: per quanto tempo questa informazione ha valore? Domani avrà ancora valore? Fra una settimana? Fra un mese? Fra un anno? Fra dieci anni? Fra cento anni? Oltre?

Inoltre: parlare di questa informazione in un certo modo, da una certa angolazione, può aumentare o diminuire la sua durabilità?

Esempio: il cambiamento climatico è un tema con una durabilità di centinaia di anni, e implicazione nell’ordine dei millenni. Le polemiche o le strumentalizzazioni di un tale su una ragazzina di quindici anni hanno una durabilità di un giorno, forse.

Altro esempio: la possiblità di andare su Marte è un tema con una durabilità di decine di anni, e implicazioni nell’ordine dei millenni. Le polemiche o i gossip su un personaggio visionario che vuole mandare l’umanità su Marte hanno la durabilità di sei ore.

E qui siamo arrivati alla conclusione: voglio scrivere e riflettere sulle cose importanti, sulle notizie che durano, e cercando di prendere un punto di vista che aumenti la loro durabilità. Se una cosa ha valore oggi e non ha nessun valore domani, non mi interessa scriverne qui.

La superficialità dei media è data dal fatto che tutte le informazioni sembrano uguali, sia quelle che hanno un impatto su un periodo di tempo esteso, sia quelle che domani diventano irrilevanti. E che spesso anche le notizie veramente importanti vengono date o commentate come se fossero cose da un giorno. E questa cosa mi fa una rabbia enorme.

Per quanto mi riguarda, basta così. Non ho tempo da perdere, e non voglio far perdere tempo al mio prossimo. Scrivere di cose inutili significa perdere tempo e far perdere tempo. Con la valanga di informazioni disponibili ci crediamo liberi, ma la realtà è che siamo schiavi delle mode anche in tema di notizie. Io voglio essere libero da questa schiavitù.

Questa tendenza mi fa così arrabbiare che voglio distaccarmene completamente. Voglio scrivere di argomenti “scaduti”, su cui nessuno condivide più articoli su twitter o su facebook. Non voglio la soddisfazione di poter dire “sono il primo ad aver scritto un commento intelligente!“. Voglio poter dire “questo fatto è importante, anche se è un mese che non ne parla più nessuno”. Voglio essere fuori tempo massimo.

Pubblicato originariamente come primo e ultimo articolo del mio blog fuori tempo massimo


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Ciao, sono Carlo Martinucci, un tizio che ha deciso che il mondo va a rotoli perché le persone si fermano ai titoli.

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